Il Gufo Rosa

Il Gufo Rosa
Sui libri digitali e non (e altre diavolerie)

23 dicembre 2011

La lettura al centro

Trovare un equilibrio alchemico tra immersione e dispersione all’interno dei percorsi di lettura è una delle grandi sfide che la concezione di un libro digitale ci pone. Una sfida complessa e minata da molte tentazioni, tra le quali quella – indotta dalle potenzialità tecniche di cui disponiamo – di trattare il libro digitale come un tacchino infarcito, in cui gli elementi multimediali e interattivi sovrabbondano e il libro diventa il surrogato di un videogioco.

Talvolta, invece di spendersi nella ricerca di un arduo compromesso, è bene fare una scelta di partenza, che tralascia alcune possibilità per svilupparne appieno altre.

Penso che questo sia il caso de L’Homme Volcan, libro digitale scritto da Mathias Malzieu e coedito da Flammarion e Actialuna. Non si tratta di un ebook in formato ePub, ma di un’applicazione per iPad in cui la lettura è posta al centro dell’esperienza proposta all’utente. Un ambiente di lettura immersivo nel quale il testo è indiscusso protagonista.

La storia tenera e commovente de L’Homme Volcan è sceneggiata come un film, tanto da non esser composta di capitoli ma di scene, in cui ogni “effetto speciale” (la musica realizzata dal gruppo Dionysos proprio per il libro e le meravigliose illustrazioni animate disegnate da Frédéric Perrin) non invade mai il campo, non strattona il lettore, poiché è immerso nel continuum della storia e contribuisce alla sua fluidità.

Nel corso della conferenza organizzata da Demain le Livre, Samuel Petit di Actialuna e Florent Souillot del Gruppo Flammarion hanno infatti spiegato di aver voluto “evitare di riprodurre le dinamiche del film d’animazione o offrire delle funzioni interattive tipiche del videogioco” e che “la sfida essenziale è stata rispettare la postura del lettore”.

Una sfida accolta sia dall’autore che dall’illustratore che in questo video raccontano alcuni elementi della trama e del processo di realizzazione del libro digitale:


Se vi interessa approfondire altri aspetti del libro, vi consiglio la recensione di eBouquin che trovate qui: L’Homme Volcan : sobriété et poésie au service de la lecture

20 dicembre 2011

Nella morsa della neve, un thriller rosa natalizio

DISCLAIMER: Questo è un racconto di Natale.
Da leggere solo se guardate alle cose da una certa altezza

- se siete alti fino a 1,50 m, la lettura non reca problemi;
- se siete più alti di 1,50 m e vi inoltrate nella lettura, correte un rischio vertiginoso, ma poi non dite che non ve l'avevamo detto.
Consigliata la lente d'impiccioringrandolimento.


Correte, correte tutti a vedere!
È in corso una feroce battaglia di palle di neve tra il Gufo Rosa e il riccio sparagnino. Chi sta vincendo? Per adesso è in vantaggio il Gufo Rosa. Il riccio sparagnino è un tipo parsimonioso e la neve preferisce non lanciarla. Se la vuole tenere tutta per sé.
Ed ecco che arriva un pupazzo di neve con una faccia seria seria: «Devo darvi un messaggio importante».

Proprio in quel momento il Gufo Rosa si sveglia e non riesce a scoprire quale sia il messaggio importante! Funziona così con i sogni, mica sempre si realizzano!
Il Gufo corre fuori di casa alla ricerca del riccio sparagnino e... E lo incontra per strada mentre è diretto proprio da lui! E sapete una cosa? Hanno fatto tutt'e due lo stesso sogno. A chi non è mai capitato di avere un sogno in comune con un amico?
Nemmeno il riccio, però, è riuscito a capire quale sia il messaggio importante. Ma allora lo dicano che non tengono gli occhi bene aperti quando sognano e che dormono in piedi!
- Dobbiamo trovare il pupazzo di neve, - dice il riccio sparagnino.
- Dobbiamo proprio? - Il Gufo Rosa è un po' pigro. Il riccio gli lancia un'occhiataccia. - E vabbé, e dove lo troviamo?
- In Lamponia, naturalmente! C'è la neve migliore laggiù.
In un attimo fanno il pieno di tricotillomagia all'Ufo Rosa, ci saltano sopra e, vruuum, dritti in Lamponia! Ed è propriò vero che lì c'è la neve migliore!
Per fortuna, incontrano subito una renna a cui chiedere informazioni! Lo sanno tutti che le renne:
  1. Ne sanno una più del gufo.
  2. Sanno tutto sulla neve.
  3. Sono notoriamente velocissime nelle risposte (rispondono alla stessa velocità con cui girano il mondo).
- I pupazzi di neve sono molto timidi, - dice la renna, e proprio allora comincia a nevicare più forte. - Dovete starvene qui fermi e immobili e aspettare che uno di loro si avvicini.
Il Gufo Rosa e il riccio sparagnino aspettano e aspettano. Ora dopo ora e dopo ora e dopo ora... aspettano fin quando alla fine non finiscon così:

Ed ecco che arriva un pupazzo di neve con una faccia seria seria e dice: «Devo darvi un messaggio importante: tanti auguri a tutti quanti! E dite a quelli là di sbrigarsi a preparare gli ebook sulle tre leggende».
I messaggi, alla fine, erano due.


I.M.B. feat Aton

12 dicembre 2011

Se una notte d’inverno uno scrittore…

…ti invia una mail per dirti che di quel personaggio sul quale una sera la tua lingua è inciampata ci sono ben tre leggende – sì, esistono, sono vive come te e lei, sei tu l’eretico a non crederci, non lui –, non assecondarlo.

Se insiste perché vuole farti sapere che il tal personaggio «potrebbe indossare i trampoli per somigliare un po' ai Piricotteri. Non so se è una caratteristica che può avere fin dall'inizio o se la conquisterà nel corso del racconto. Comunque manterrà le caratteristiche di gufo sub», ricordagli che deve ancora fare il bucato.

Se continua a alimentare le sue fantasticherie precisandoti che «sarebbe davvero un peccato non valorizzare il tartufo rosa, giacché era nato anche lui quella sera. Quindi sarà probabilmente il cibo preferito del Gufo. Non è detto che sia la causa del colore del suo piumaggio. Nemmeno il tufo rosa merita di finire nel dimenticatoio e pertanto sbucherà fuori anche quello. Probabilmente il gufo avrà una tana al mare (non lontano dalla spiaggia di Martina la polpettatrice) in tufo rosa», rammentagli che occorre andare a fare la spesa e intimagli che entro mezzanotte deve pure lavarsi i capelli.

Se il suo discorso prende una piega filosofica cercando di convincerti del fatto che «è sempre un grosso peccato smentire le leggende, si terrà conto di tutte e tre e si rinuncerà a cercare in alternativa un'unica storia vera», riconducilo sulla strada delle pulizie domestiche, ma sta attento, sta molto attento, l’uso di scope e aspirapolvere può comportare l’addensarsi di cumuli di storie e altre fantasie.

Se sulla via del “sarebbe proprio un peccato” ti svela che «siccome è un uccello predatore, non ci siamo sorpresi quando abbiamo saputo che spesso e volentieri si dedica alla caccia, ma non di qualsiasi preda», no, non cadere in tentazione, non chiedergli chi è la preda. Chiunque essa sia, a te non interessa, tu sei convinto – per dirla come Thomas Mann – che “il cielo sia da lasciare ai passeri”, non ai gufi rosa.

Se giorno e notte, ma naturalmente soprattutto di notte, intasa la tua casella di posta elettronica, non prendertela, devi convenire con lui che «comunque vadano le cose, comunque si compongano le storie, abbiamo una vasta scelta di nomi di ristoranti, se ne volessimo aprire uno».

9 dicembre 2011

Problemi di coperta (e alberi di Natale)


Mentre il Piricottero (ebbene sì, non è una cicogna dalle gambe lunghe, è un Piricottero) appende il Gufo Rosa sull’albero di Natale, la sacerdotessa-editor E. è impegnata in una disputa sulle copertine degli ebook. Ebookfattucchieri neofiti e esperti fatevi avanti, e dite la vostra.


Vi siete mai posti la domanda: come può essere la copertina di un ebook?

Immaginiamo di avere fra le mani un libro cartaceo, la prima cosa che guardo di sicuro è la copertina. Negli scaffali della libreria la copertina è il primo contatto che ho con il libro, è quella che ci attira per i colori, il contrasto, la particolarità.

Apro il libro e mi trovo di fronte a due possibilità:
  1. Nel caso in cui il libro abbia una sovraccoperta (foglio stampato che ricopre la copertina di un libro, ndgr), vedrò la prima bandella e l’occhiello con il nome della collana.
  2. Nel caso in cui non ci sia la sovraccoperta, vedrò direttamente l’occhiello.
Voltando ancora pagina, di solito ne troverò una bianca sulla sinistra e sulla destra il frontespizio.

Vediamo invece un ebook su iPad. Nello scaffale della libreria di iBooks visualizzerò la copertina, o meglio, la miniatura della copertina. Se apro il libro, anche qui potrò avere diverse possibilità:
  1. Il libro si apre con un’animazione e troviamo la copertina.
  2. Il libro si apre con un’animazione e troviamo il frontespizio o (più raramente) l’occhiello.
Nel secondo caso potremmo pensare che vedere solamente la miniatura della copertina sia un po’ poco, è necessaria una precisazione: se io vado nell’indice del libro (definito dal file toc.ncx nel file ePub) e tocco la voce copertina, la copertina si aprirà per l’intera ampiezza dell’iPad in una nuova finestra, come nell’immagine sotto.


Toccando il pulsante in alto a destra “Done”, la copertina si richiude ritornando all’indice.
In questo secondo caso si dice che la copertina è in un documento non in linea. Ecco cosa cambia nel nostro ePub e più precisamente nella sezione “spine” dell’OPF nella quale indichiamo mediante un elenco in quale ordine i diversi file di contenuto devono essere visualizzati dal software o dal reader.

Primo caso:
<spine toc="ncx">
<itemref idref="copertina"/>
<itemref idref="occhiello"/>
<itemref idref="frontespizio"/>
</spine>

Secondo caso:
<spine toc="ncx">
<itemref idref="copertina" linear="no"/>
<itemref idref="occhiello"/>
<itemref idref="frontespizio"/>
</spine>

Nel secondo caso indichiamo esplicitamente di considerare la copertina come un documento non in linea, un documento che non deve seguire l’ordine progressivo di lettura.

Quale delle due soluzioni adottare?
Fatevi avanti, la disputa è appena cominciata!

La sacerdotessa-editor E.

6 dicembre 2011

Com'è che ha fatto Netflix a spararsi su un piede

Questo blog si avvale della collaborazione debitamente non remunerata di vari personaggi. Oggi è la volta del Signor Mac Buck il quale analizza cos'è accaduto a Netflix, un caso che a suo avviso può essere annoverato tra "i caduti delle teorie dell'innovazione" e nel contesto del blog a mio avviso tra le "altre diavolerie". A lui spiegarvi il perché.


Questo è il grafo delle azioni di Netflix da gennaio a ottobre 2011. Negli ultimi mesi le azioni hanno perduto 2/3 del loro valore: da un picco di 300 dollari a luglio ai 77 di fine ottobre. Prima del 18 settembre 2011 Netflix, al pari di Apple, stava rivoluzionando il business dei media a tal punto da minacciare l'esistenza della televisione e del cinema così some lo consumiamo. James Murdoch l'aveva messo nel ristretto novero delle "big beasts" che stavano scavando la fossa ai grandi conglomerati media come News Corp. I consumatori soffiavano nelle vele di Netflix come Eolo in quelle della nave di Ulisse. Ma che cosa è successo a settembre? Qualcuno ha aperto l'otre di Eolo e i venti favorevoli si sono trasformati in un uragano. A fine novembre Netflix è dovuto ricorrere al mercato dei capitali vendendo azioni ordinarie per raccogliere 400 milioni di dollari per finanziare le sue attività; David Welles, il direttore finanziario, ha annunciato che solo dopo il 2012 si tornerà a parlare di redditività.

CHE COS'È NETFLIX
Netflix non c'è ancora in Italia e quindi spendiamoci sopra due parole. Nel videonoleggio Netflix ha ucciso Blockbuster, un luogo più ubiquo delle parrocchie e dei cimiteri il cui nome è diventato un lemma del dizionario globish: quando si dice che un prodotto ha incassato moltissimo si dice che è un "blockbuster". Netflix lo ha mandato in fallimento con tre colpi ben assestati: l'idea, il servizio, la sterminata libreria di film. Invece di recarsi al Blockbuster più vicino le famiglie americane potevano noleggiare un film sul sito web di Netflix e ricevere il DVD in una busta rossa a breve giro di posta: la busta di Netflix, evento gradevole della giornata, atteso con trepidazione. Potevano tenerlo quanto volevano e poi restituirlo tramite posta nella busta prepagata fornita da Netflix nello stesso plico. Tutto questo con un abbonamento flat mensile a un prezzo di una pizza (8,99 dollari) nel caso di noleggio di un DVD alla volta.
Efficienza del servizio, semplicità di esecuzione e migliaia di titoli disponibili completavano l'offerta a cui avevano aderito 25 milioni di famiglie americane.
Al pari di Amazon, l'esperienza gemella nel campo dell'e-commerce, Netflix, nel marzo 2011, aveva annunciato di voler servire a propri abbonati produzioni proprie: David Fincher – il regista di "The Social Network" – e Kevin Spacey – l'attore premio Oscar – stavano lavorando a una serie di 25 episodi dal titolo "House of Cards", spalmati su due stagioni. Questo annuncio stava togliendo il sonno ai media esecutive di Hollywood e della Pay Tv come HBO che tutte le notti sognavano Blockbuster. Gli azionisti di Netflix, invece, potevano dormire tra due cuscini.

IL ROMPICAPO DELLO STREAMING
Ma c'era, invece, qualcosa che turbava il sonno dell'inquieto Reed Hastings, l'inventore di Netflix e insieme a Steve Jobs e Jeff Bezos il terzo moschettiere della digital America: come affrontare l'incombente e inevitabile avvento de video-streaming che, se non gestito bene e in tempo, avrebbe affondato il panfilo di Netflix ricolmo di DVD. Allora Hastings ha deciso di anticipare il colpo e, con una repentina virata, lo ha preso in pieno, sparandosi, come scrive impietosamente l'Economist, su un piede. Troppi cambiamenti, troppo complicati e soprattutto tutti insieme e subito. Il 18 settembre, a sorpresa, Hastings ha annunciato che Netflix avrebbe servito solo servizi di streaming al prezzo flat di 7,99 dollari al mese. Il noleggio dei DVD sarebbe stato operato da una nuova entità dal nome indicibile di "Qwikster" (ci sono 6 consonanti) sanzionando così una separazione fisica tra i due servizi (come sognano di fare le banche con i loro titoli tossici). Fin qui niente di così indigeribile. Ciò che ha suscitato l'ondata di "indignados", che ha portato alla perdita di 1 milione di abbonati nell'arco di neanche un mese, sono stati i nuovi piani tariffari disgiunti, nella più infausta delle strategie commerciali. Chi sottoscriveva il servizio di streaming poteva ottenere i DVD solo con un abbonamento separato peraltro ritoccato al rialzo del 10% (9,99 dollari al mese) e chi sottoscriveva questo abbonamento non poteva avere lo streaming se non sborsando altri 7,99 dollari al mese. Chi li voleva entrambi doveva pagare un 60% in più, che è un aumento da iperinflazione. Con questa operazione Netflix tendeva a spostare l'ago della bilancia verso lo streaming, penalizzando il noleggio dei DVD. Pensava che questo fosse anche il desiderio inespresso dei propri clienti. Niente di più illusorio.
Bisogna dire che molti consumatori sono maleducati e tra di loro si annidano dei black bloc, ma viene da chiedersi come una persona con una conoscenza dei consumatori come Hastings abbia potuto pensare di far accettare un piano del genere tutto d'un botto. Il 10 Ottobre 2011 il progetto di scorporo è stato cancellato, ma l'aumento delle tariffe è rimasto. Hastings ha scritto anche una lettera di spiegazioni agli abbonati che sembra un biglietto alla moglie Gloria che gli ha messo le valigie sul pianerottolo dopo aver scoperto di una notte passata con la persona sbagliata. Il Financial Times l'ha bollata come "the art of empty apology". La fuga dei consumatori non si è arrestata è diventata una valanga.
Hastings non è certo uno sciocco. Di fronte alla sfida dello streaming è stato posto di fronte al dilemma dell'innovatore: che cosa fare per innovare un business consolidato, al picco del suo successo ma fortemente minacciato? Inoltre c'era anche il dato di fatto che l'arrivo dello streaming stava cambiando i rapporti di forza tra Netflix e le case di produzione cinematografiche e i gruppi televisivi, spostando dalla parte di quest'ultimi l'effetto leva. Servire lo streaming costa a Netflix immensamente di più come royalty. L'analista Michael Nathanson di Nomura ha dichiarato che Netflix è diventato "una manna da cielo" per i gruppi media, quando pochi mesi prima era semplicemente l'angelo della morte. Dunque il management di Netflix è stato posto di fronte al classico dilemma: innovare con convinzione o difendere ad oltranza il business consolidato. La scelta è caduta sulla prima opzione.

LA DISRUPTIVE INNOVATION
La "colpa" di Hastings è quella di aver cercato di applicare alla sfida dello streaming le teorie della disruptiive innovation che sono diventate il breviario delle start-up della Silicon Valley e Netflix sta a Los Gatos proprio nel cuore della valle. Ma la "colpa" vera è di un professore sessantenne di Harvard che si chiama Clayton M. Christensen, secondo di otto fratelli. Nei suoi studi Christensen articola e sviluppa la teoria del "distruttive innovation" che ha preso corpo in una serie di libri importantissimi uno dei quali tradotto da Etas anche in italiano: "Il dilemma dell'innovatore. La soluzione". Un secondo "The Innovator's Solution" uscirà in Italia a febbraio 2012. Questa teoria dopo l'esperienza di Netflix si può definire "disruptive theory" :-). Beninteso le teorie di Christensen sono serissime e basate su analisi accurate; i problemi, come è avvenuto per le teorie sul capitalismo di Carlo Marx, sorgono quando entrano in gioco alcuni infausti interpreti… ma, parafrasando Steve Jobs, "real innovators ship - i veri innovatori fanno"  ed è quindi difficile tenerli fermi ai box. Ed Hastings è senz'altro in questo novero di cinetici.
In estrema approssimazione Christensen afferma che a fronte di una innovazione dirompente (come quella dello video-streaming, per esempio) le società che hanno un prodotto o un servizio consolidato che produce margini robusti (video-noleggio, per esempio) rischiano di essere scardinate da società che, partendo dalla fascia bassa del mercato (quella meno redditizia) introducono servizi o prodotti innovativi che, consolidandosi progressivamente, vanno ad invadere, in modo erosivo, anche le fasce alte del mercato presidiate dalla società leader, "the incumbent". Christensen descrive in dettaglio come si attua questo processo discutendo con grande acume un'ampia gamma di casi avvenuti in tutti i segmenti industriali. L'insegnamento che se ne trae è che le società maggiori devono porsi subito il problema di come introdurre prodotti e servizi "innovativi" anche se tendono a confliggere con il business corrente. Il primo istinto è quello di rifuggirli perché non rispondono ai criteri di redditività stabiliti dal management. Però se non fanno propria questa innovazione o se la eseguono con scarsa determinazione, qualcun'altro lo farà al posto loro e il business prosperoso sarà inesorabilmente cannibalizzato al modo di una sorta di take-over ostile. Quindi Hastings sembra aver fatto, alla luce delle teorie di Christensen, la mossa giusta nel porre lo streaming al centro della strategia di Netflix, ma senz'altro ha spostato le pedine sbagliate.
Prima di tutto Netflix non è più una start-up che sta introducendo un servizio o un prodotto innovativo partendo dalla fascia bassa del mercato, ma, "the incumbent", cioè il soggetto che tiene il pallino del mercato con i suoi 25 milioni di clienti. Quindi la risposta della clientela non è una cosa che deve essere oggetto di sperimentazione, ma un dato certo e già esperito.  
Un nuovo servizio deve creare valore per la clientela che può essere non meramente monetario, ma, per esempio, percepito in termini di valore d'uso: semplificazione, portabilità, estensibilità e via dicendo. L'offerta di Netflix non aveva alcuno di questi attributi, anzi complicava le cose e, separando il servizio dello streaming da quello del noleggio, toglieva libertà di scelta al cliente che un giorno poteva preferire un DVD da infilare comodamente nel lettore del televisore del soggiorno di casa (operazione che riesce a fare anche il gatto) e quello successivo un più complicato streaming da fruire sul proprio portatile in una stanza d'albergo.
I consumatori adorano scegliere e aborrono le restrizioni. Netflix toglieva questa libertà di scelta senza reciprocità. E infatti in molti vecchi e fedeli abbonati, come David Pogue del New York Times, sono fuggiti ed anche con tutto il clamore possibile nell'epoca dei social network. Il management di Netflix, all'apice del suo successo, ha pensato di possedere il carisma dell'infallibilità che l'ha indotto a dare per scontato che i clienti alla fine avrebbero accettato il nuovo schema tariffario e le modalità di accesso al servizio solo per il fatto che le proponeva Netflix e che lo streaming era il credo del momento. Forse Hastings avrebbe fatto meglio a fare un paio di telefonate a qualche abbonato nell'Iowa o nel Wisconsin piuttosto che una doppia immersione nella teorie di Christensen.

Il Signor Mac Buck

1 dicembre 2011

Non chiedermi il PDF

Riceviamo e volentieri pubblichiamo la lettera di un anonimo editore nativo digitale a un altrettanto anonimo books blogger.

Caro blogger che parli di ebook,

ti scrivo per metterti a parte di una questione che quotidianamente mi affligge: quando ti informo di una mia nuova uscita, ti prego, abbi pietà di me, non chiedermi il PDF.
Non sai quanto tempo ho passato a testare e ritestare l’ebook su diversi dispositivi, a concepirne un’esperienza di lettura degna di dirsi “digitale”; e tu, nulla, mi chiedi il PDF.

Hai pienamente ragione, per una lettura rapida e trasversale sullo schermo di mac e pc il PDF è molto comodo. Sì, sono d’accordo, i migliori dispositivi di lettura che ti consentono di accedere a un vasto ecosistema di libri non sono alla portata di tutti i portafogli.
Tuttavia, come certamente ben sai, da oggi anche in Italia è arrivato il Kindle Store e Amazon propone un e-reader a un prezzo abbordabile. E se non ne fai una questione di dispositivo né di soldi, beh, allora sappilo, il PDF è affetto da un male: è rigido.

Concordo con te, questo male è una mano santa per fumetti, libri illustrati, libri d’arte e altre pubblicazioni in cui il rapporto tra testi e immagini è bene che sia statico e non fluttuante.
Ma per i saggi e la narrativa perché devo costringere il contenuto dell’ebook nel PDF?

Facciamo così, trovami una buona ragione e smetterò di affliggermi.
Ma se non la trovi, ti prego, non chiedermi più il PDF.

Saluti.

Anonimo Editore Nativo Digitale