Il Gufo Rosa

Il Gufo Rosa
Sui libri digitali e non (e altre diavolerie)

28 giugno 2012

Gli ebook verso il 50%



La crescita esponenziale degli ebook negli Stati Uniti e nel Regno Unito, i due mercati guida dell’editoria globale, offre finalmente la possibilità di tracciare alcuni comportamenti dei consumatori e dei produttori di contenuti che prima o poi si estenderanno ai mercati che sono rimasti indietro, come l’Europa continentale e l’Italia. Steve Jobs, guardando i comportamenti dei giovani a Istanbul – dove era in vacanza con la famiglia – e notando che tutti bevevano l’espresso e non il caffè alla turca che la guida cercava di somministrargli, aveva osservato che i consumatori di tutto il mondo vogliono la stessa cosa e si comportano nello stesso modo. Quindi non alimentiamo troppe illusioni circa l’unicità di certi fenomeni che da noi non arrivano o non attaccano. L’ebook arriverà anche in Italia con le stesse modalità dei mercati più sviluppati.
I grandi gruppi editoriali, che sono tutti a New York City tra Wall Street e l’Apple Store all’incrocio tra la 5a e la 59a (i nuovi yin e yang dell’industria dei media), hanno dichiarato che oltre un terzo dei loro profitti proviene dal libro digitale. Un quarto dei lettori americani e un quinto di quelli britannici nel marzo del 2012 ha già acquistato un ebook. Se guardate questi dati, sembra di osservare i profitti della Apple dello stesso periodo: un razzo sparato in aria. Pew Research Center, uno dei più autorevoli osservatori sull’industria dei contenuti, ha previsto che nel 2025 gli ebook saranno il 75% dei libri. Altri si sono arrischiati a dire che, negli USA, già nel 2014 la quota di mercato raggiungerà il 50%; e poi a distanza di qualche anno succederà lo stesso negli altri mercati.



Il dibattito globale non è più sull’ebook, ma su come deve essere l’ebook e su come questo trasformerà il modo di produrre e consumare contenuti. Gli anglosassoni che hanno inventato la statistica moderna e l’analisi di mercato stanno realizzando delle indagini che iniziano a mettere a fuoco i vari aspetti di questo fenomeno nascente.

L’aumento dell’offerta
Guardando i dati che seguono Peter Turner, attento osservatore dei fenomeni editoriali, ha commentato: “Come si scrive Tsunami?”. Nel 2010 negli Stati Uniti Bowker, l’agenzia che rilascia i codici ISBN, ha ricevuto dagli editori quasi 350.000 richieste, con un modesto incremento sul 2007, e qualcosa come 3.800.000 richieste per titoli non tradizionali (cioè di soggetti diversi dagli editori), quando le stesse erano state appena 100.000 nel 2007. Ma che diamine è successo tra il 2007 e il 2010? Semplice: è arrivato il Kindle e sono esplosi gli ebook. Nel 2011 Bowker dichiara di aver rilasciato 211.000 ISBN per ebook di titoli autopubblicati, quasi il doppio dell’anno precedente, e quasi due terzi dei titoli pubblicati dall’intero gruppo degli editori.



Dove si acquistano gli ebook?
Sapere dove i lettori acquistano gli ebook è davvero fondamentale, soprattutto per chi li produce che, come abbiamo visto, non sono più soltanto gli editori. Nonostante esista uno standard, l’ePub, e che tutti i costruttori di e-reader e di applicazioni per e-reader giurino di applicarlo, la situazione è come quella del traffico del Cairo, cioè un grandissimo blob: l’ePub, come nei migliori film d’azione fantascientifici, si trasforma continuamente e inseguiamo sempre la sua ultima trasformazione. È un po’ quello che c’era all’inizio di Internet con l’HTML. Su un browser le pagine funzionavano bene, su un altro non funzionavano affatto. Lo stesso sta succedendo con gli ebook: su iPad con iBooks la pagina è favolosa, ma già su Adobe Digital Editions c’è qualche problema, per non parlare di quello che viene visualizzato sugli e-reader e sui tablet a basso costo. Amazon, poi, ha un formato proprietario che sembra proprio un dispetto, perché è un clone infelice dell’ePub. La prima domanda che un produttore di contenuti deve porsi è questa: per quale piattaforma devo ottimizzare l’ebook? Risposta: per quella dove i lettori lo comprano e per il device con cui lo leggono. Ed ecco che finalmente sappiamo qualcosa di più a questo proposito.
Bowker ha presentato al BookExpo America del 2012 i risultati di uno studio condotto in 10 paesi tramite interviste a 10.000 persone, un campione rappresentativo della popolazione adulta in termini di età, sesso e regione di provenienza. Da questa indagine risulta che i tre più importanti “luoghi di acquisto” sono Amazon Kindle Store con il 35%, Apple iBookstore con il 23% e la vendita diretta con il 13%.



Niente che non intuissimo già, ma qualche considerazione è necessaria. I lettori si recano nei luoghi che conoscono di più, verso i quali nutrono fiducia. Amazon è il più grande e-commerce del pianeta con 165 milioni di clienti e, come dice Bill Gates: “Compro i libri su Amazon perché ho poco tempo, c’è un’offerta enorme e sono molto affidabili”. Apple ha oltre 350 milioni di clienti e ogni giorno dai suoi store vengono scaricati milioni di prodotti media. La vendita diretta conferma, se ce ne fosse bisogno, la forza dei social media anche tra i lettori. Si acquista da un soggetto che si segue su Facebook o su Twitter nei cui confronti c’è un rapporto quasi “personale”. I siti degli editori e le librerie online indipendenti funzionano peggio anche per la difficoltà a catalizzare traffico e a costruire un servizio che possa competere con le grandi piattaforme di distribuzione. Non è un caso che nell’economia dei prodotti fisici non siano gli editori a vendere i libri al pubblico, bensì le librerie, a tal punto che è più facile ricordare il nome di una libreria che quello di un editore.
Il consumatore va su Amazon e Apple anche per un altro motivo: il negozio di ebook è completamente integrato con i dispositivi e le applicazioni di lettura, così acquistare diventa semplice come allungare un braccio e cogliere una mela.

Dove si leggono gli ebook?
Un altro interrogativo importante è quello che riguarda il dispositivo con maggiore potenzialità di sviluppo tra le quattro tipologie che si contendono il lettore: l’e-reader con schermo e-ink, il tablet, lo smartphone e il computer. Fin dagli inizi, negli USA, è stato l’e-reader dedicato il device d’elezione per gli ebook: nell’agosto del 2011 il 72% dei lettori lo preferiva a qualsiasi altro dispositivo. Ad appena dieci mesi di distanza la situazione è già cambiata. Il grafico (“Dispositivo preferito per leggere gli ebookin USA”) mostra che la rimonta dei tablet sugli e-reader è già iniziata nel dicembre del 2011; la quota dell’e-reader è calata di oltre 10 punti. Ma che cosa è accaduto tra agosto e dicembre 2011? È accaduto che Amazon ha lanciato il suo tablet, il Kindle Fire, e nei primi tre mesi ne ha già venduti quasi 4 milioni e la Apple ha venduto, nel quarto trimestre del 2011, 15 milioni e mezzo di iPad.
Questo trend si è rafforzato nel primo semestre del 2012 e, come conclude uno studio di Bowker, “i consumatori di ebook stanno dicendo sì ai tablet”. È da ritenere che questo trend sia ormai irreversibile.



Che conseguenze può avere questo trasloco di preferenze sui programmi degli editori e dei produttori di contenuti? Lasciamo la parola ad Angela Bole, che ha diretto lo studio di Bowker: “Capire lo spostamento di preferenze dall’e-reader dedicato al tablet multifunzione è molto importante per gli editori, poiché gli consente di pubblicare ebook più ricchi, più interattivi, più avanzati sul piano dell’esperienza di lettura. Questo è quello che attende gli editori nel prossimo futuro”. Verrebbe da aggiungere un “molto”, a quel “prossimo”.

Quali generi si leggono di più?
Un’altra informazione preziosa, per gli editori e gli altri soggetti che si affacciano sul mercato degli ebook dal lato dell’offerta, è quella dei generi che incontrano maggiore favore tra i lettori di libri digitali. Occorre premettere che, a causa della limitatezza della tecnologia, un’ampia gamma di generi è rimasta esclusa da questo mercato. Tutto il comparto del libro illustrato, del libro per ragazzi, gli stessi libri di testo non hanno potuto trovare nell’ebook uno sbocco in grado di fornire una valida alternativa al libro stampato. Alcuni di questi prodotti hanno intrapreso la strada delle applicazioni, con risultati alle volte così strabilianti da porre l’interrogativo se si tratti ancora di libro o di qualcosa di cui non si è ancora inventato il nome. Non è un caso che sull’AppStore, dopo la categoria dei giochi e quella dell’intrattenimento, vi sia proprio quella dei libri ad avere il maggior numero di applicazioni. Quello delle applicazioni, almeno per adesso, è un mercato differente da quello dei libri, anche come pubblico di riferimento. Ora, con l’arrivo dell’ePub3 e la messa a punto della tecnologia del Fixed Layout, anche questi generi possono incontrare i loro lettori sugli schermi dei tablet.
Nella graduatoria dei generi (vedi grafico “USA: quote di mercato dell’ebook per genere”) sorprende vedere che, sempre negli USA, il genere mystery alla fine del 2011 tocca già una quota di mercato vicina al 30%, seguito immediatamente dal genere romance con un bel 27%. Tra il 15 e il 20% troviamo il genere biografico, young adult e la ubiqua cucina, a dimostrazione che il mangiar bene nutre anche la mente. Il libro illustrato per ragazzi non raggiunge neppure il 5%, quando invece è uno dei comparti più dinamici del mercato del libro. Le ragioni sono note.
Che indicazione ci viene da questi numeri? Questa: la rivoluzione degli ebook non coinvolge indifferentemente tutto il mercato del libro, ma solo alcuni comparti, e in particolare quello della fiction. Chi opera in questo segmento deve iniziare a porre gli ebook al centro della propria azione, come hanno già fatto i grandi editori USA. Agli altri editori resta ancora quella che Ingmar Bergman chiama “la breve estate svedese”, un periodo felice ma effimero.



Nel Regno Unito, con il 23% (vedi grafico “UK: quote di mercato dell’ebook per genere”), è il genere romance che ha il maggior numero di lettori, seguito dal crime/mistery, che è l’unico genere a superare il 10%. Gli ebook di cucina hanno invece scarso richiamo sul mercato inglese, a testimonianza del fatto che tra gli anglosassoni e la cucina non c’è grandissima attrazione reciproca. I trend del mercato UK confermano quelli del mercato USA: il fenomeno degli ebook interessa sostanzialmente la fiction. Ma questa situazione è destinata a cambiare nel 2012.



Che ne pensa il lettore forte dell’ebook?
A questo proposito i dati emersi da un’indagine condotta da Book Industry Study Group (BISG), l’associazione dell’industria del libro negli USA, stimolano una riflessione. Che cosa trattiene un lettore forte dal passare dalla carta all’ebook?, ha chiesto BISG a un campione selezionato.



Non è come generalmente si pensa o si scrive, ovvero il fatto che i lettori forti preferiscono la carta al video: solo il 16% dà questa motivazione. Molti, semplicemente, non hanno tempo, il 30%; altri sono trattenuti da tre fattori di cui si discute molto e si continuerà a discutere: il 30,3% dal prezzo, il 18% dall’impossibilità di rivendere o disfarsi dell’ebook dopo l’utilizzo e il 16,6% similmente lamenta la difficoltà di scambiare o condividere l’ebook con altri.



Si tratta di barriere che non hanno niente a che vedere con la tecnologia ma afferiscono alle politiche commerciali degli editori e allo statuto giuridico dell’ebook, che è un problema enorme. Il consumatore, quando “acquista” un ebook, non ne diviene proprietario come per un libro, ma licenziatario, come per un software. Una bella differenza: un ebook non si può cedere, rivendere, prestare, lasciare in eredità o battere a un’asta di Sotheby’s.

Che futuro ha la lettura?
Quel 30% che dice di non avere tempo in realtà esprime un “sentimento” che non è per niente da trascurare. Nel mondo digitale la lettura, che avviene nel tempo libero, ha una pletora di contendenti che supera il numero dei proci che combattevano per la mano di Penelope. Le applicazioni per dispositivi mobili sono un concorrente nuovo e agguerrito che combatte con le stesse armi dell’ebook: vi si può accedere ovunque, è ubiquo, e offre un contenuto alle volte più stimolante della mera lettura. Uno studio realizzato da Pew Research Center dice infatti che, durante i 90 minuti giornalieri trascorsi sul tablet, solo il 17% dei possessori legge libri. Altre attività sono più popolari: il 53% vi legge le notizie, il 39% lo usa per socializzare, il 30% si immerge nei videogiochi.
Il tablet multifunzione è una grande opportunità per l’editoria, ma anche una minaccia per l’industria del libro: offre al lettore forte molte tentazioni, tentazioni che sono espunte in toto se questi lettori vengono confinati negli e-reader monofunzione, come il Kindle o il Kobo. Con l’avvento del tablet, il lettore forte potrebbe trasformarsi in lettore più occasionale, cioè debole. Un bel problema visto che l’industria del libro sta in piedi grazie all’apporto dei lettori forti, la maggioranza dei quali ha un reddito compreso tra i 50.000 e i 100.000 dollari annui.
Alla luce di questa evoluzione viene da domandarsi se possa ancora esistere un futuro per la lettura come forma di comunicazione e di trasmissione della conoscenza. I libri saranno ancora tra noi o saranno sostituiti da qualcosa che mette in moto un’attività meno intensa, meno cerebrale, meno immaginativa della lettura? La seconda ipotesi non è del tutto da escludere, del resto la lettura non esiste in natura, è una manifestazione dell’intelletto e neanche troppo antica: comparve con la scrittura appena 5000 anni fa. Può esistere una comunità umana senza lettura? Può essere la lettura una forma transitoria dell’intelletto? Bisognerebbe rivolgere questa domanda a Ray Bradbury, ma purtroppo non è più tra noi per rispondere. Neanche Roland Barthes è tra noi.
Intanto consoliamoci con il fatto che, grazie all’ebook e al digitale, i lettori stanno aumentando, specialmente nei paesi in via di sviluppo. In India il mercato degli ebook nel 2011 ha raggiunto la quota del 24%, più di quello USA, e in Brasile del 21%, quanto quello UK. Qui sembra appropriato il vecchio cinico adagio che dice “La lettura dei libri è morta? Viva la lettura!”
Non è l’apocalisse.

Il signor Mac Buck

18 giugno 2012

Amazon contro tutti, tutti contro Amazon

Il cannoneggiamento

Quello che è avvenuto tra l’industria del libro e Amazon ricorda le cannoniere del Commodoro americano Matthew Perry che nel 1854 costrinsero il Giappone ad aprirsi ai commerci internazionali.
Nei supermercati esiste una sola categoria di prodotti che ha stampato sulla confezione il prezzo di vendita, i libri. Il prezzo di tutti gli altri articoli è collocato sugli scaffali perché deciso dall’esercente. Il prezzo del libro lo decide invece l’editore e non si può toccare: è la legge. Nel Regno Unito – il paese di Adam Smith, che però è scozzese – il prezzo dei libri è libero, ma l’IVA è zero. In Italia i libri di testo hanno un tetto di spesa fissato dal Ministro dell’Educazione. Nella scuola primaria i libri li regala il governo. Gli americani, che sono molto pratici, hanno ormai superato ogni senso di colpa verso il libro, che è considerato un bene di consumo al pari dell’hot dog. Storicamente, però, il mercato del libro è un mercato regolato, perché il libro è associato a una valenza sociale tale da dover essere accudito come le orchidee di Nero Wolfe. Non a caso è il prodotto anticiclico per antonomasia. A causa di questa “coltivazione in serra” l’industria del libro è un club molto esclusivo con delle barriere d’ingresso altissime e innovazione modesta: somiglia al Giappone della metà del XIX secolo.
Se scaricate l’applicazione di Amazon per iPhone, nell’avviarla vi aspettereste di entrare subito nel negozio; invece vi sarà proposto un pulsante: “scan a barcode”. Tramite questo pulsante è possibile acquisire il codice a barre di un libro e lanciare una ricerca in rete per scoprire su Amazon il prezzo migliore.
Intorno a questo servizio si è scatenato un putiferio che sembrava gli ultimi giorni di Pompei. I consumatori si recavano in libreria, prendevano un libro, lo sfogliavano e poi fotografavano il codice a barre; appena in strada lo acquistavano su Amazon, spesso come ebook. Con grande serendipità Jeff Bezos, il boss di Amazon, ha dichiarato che iniziative eterodosse come queste stimolano l’innovazione, aiutano lo sviluppo e incoraggiano il consumo. Sembra di sentire il commodoro Perry!
Come per il Commodoro Perry con il Giappone, viene da chiedersi se Amazon per l’industria del libro sia un nemico, un amico o mezzo e mezzo, cioè un frenemy. Intanto che cerchiamo la risposta, gli effetti che Amazon ha provocato sull’industria culturale si vedono dal satellite. Esaminiamo i più vistosi, oltre a quello sotto gli occhi di tutti, cioè che l’ebook, nel paese benchmark, copre quasi la metà del mercato del libro e dei fatturati delle case editrici.

L’effetto ISBN



Guardate il grafico “ISBN rilasciati negli USA dal 2007 al 2010”. La quantità di ISBN riservata alle case editrici è rimasta immutata nei quattro anni in esame: circa 250.000 all’anno. Gli ISBN rilasciati per titoli non convenzionali o indipendenti (cioè non pubblicati da editori tradizionali) sono passati dai 100.000 del 2007 ai 2.800.000 mila del 2010. Ma che diamine è successo tra il 2007 e il 2010? È arrivato il Kindle di Amazon, hanno preso il via gli ebook e sono cadute le barriere alla pubblicazione.
Secondo Bowker, l’agenzia ufficiale per il rilascio degli IBSN negli USA, nel 2011 ci sono stati 211.269 ebook autopubblicati, con un incremento del 75% sull’anno precedente. Sono di poco inferiori ai titoli lanciati dalle case editrici. “Come si scrive Tsunami?” ha commentato Peter Turner, attento osservatore dei fenomeni editoriali. Gli editori iniziano a chiedersi quanto resteranno ancora al posto di guida.

L’effetto “dumping” dei prezzi




Bowker ci informa che il prezzo medio di un ebook è $12,68 per un paperback e $14,40 per un hardcover. Quello di un ebook autopubblicato è $3,18. Gli editori tradizionali sono ancora al posto di guida; se però andiamo a scorporare i prezzi praticati sul Kindle Store di Amazon le cose cambiano parecchio. Stando a un rapporto basato sul bestseller archive di Kindle, il prezzo medio dei primi 100 titoli in classifica crolla a $8,26, mentre quello di un titolo indipendente scende a $1,40. In questo scenario al posto di guida c’è già Amazon, che dice che gli ebook devono costare meno di 10 euro.
Che succederà? I prezzi degli ebook scenderanno, anche perché Jeff Bezos ha trovato un alleato inaspettato in Eric Holder a capo del Dipartimento della Giustizia dell’amministrazione Obama. Holder ha dichiarato senza mezzi termini che si deve tornare subito al modello retailer di Amazon: l’editore consiglia un prezzo ma è l’esercente che decide quello al pubblico. Una posizione che è condivisa dai regolatori europei. Si torna, come si dolgono editori, autori e il New York Times, ai prezzi predatori di Amazon, che usa i libri come gadget per acquisire quote di mercato e instaurare un “… monolite monopolista. I bassi prezzi di Amazon mascherano un prezzo sociale altissimo”, scrive David Carr, il media columnist del NYT.
Difficile contraddirlo, ma il prezzo degli ebook, una volta risolto in Europa il problema del differenziale IVA con i libri, deve scendere parecchio per due ragioni.
La prima è che l’ebook genera delle economie di processo importanti accorciando gli strati di intermediazione che si frappongono tra l’autore e il lettore.




La seconda è che il consumatore, quando “acquista” un ebook, non ne diviene proprietario come per un libro, ma licenziatario, come per un software. Una bella differenza: un ebook non si può cedere, rivendere, prestare, lasciare in eredità o battere in un’asta di Sotheby’s. Questo stato giuridico che non dà piena disponibilità del bene gli toglie “valore”: quello d’uso resta, quello di scambio non c’è più.

L’effetto Laredo

Chi ama il western certamente ricorderà la città di Laredo, al confine tra Texas e Messico, che oggi conta più di mezzo milione di abitanti compreso il distretto. Bene, nella città di Laredo non ci sono più librerie. Per trovare una libreria, gli abitanti di Laredo devono percorrere 150 miglia per recarsi a San Antonio.
A Laredo non leggono più allora? No. Gli abitanti se li fanno mandare, nottetempo, da Amazon. “Compro i libri su Amazon perché ho poco tempo, c’è un’offerta enorme e sono molto affidabili”, ha dichiarato molti anni fa Bill Gates interpretando il pensiero di moltissimi consumatori. Comunque un altro effetto doloroso dell’esistenza di Amazon è la scomparsa delle librerie con la loro aura di luogo “sacro”, come lo ha definito Jason Epstein, il decano dell’industria del libro USA. Vent’anni fa c’erano 4000 librerie indipendenti negli Stati Uniti, oggi ne restano la metà. Che gli Apple Store siano un buon modello per le librerie?

E se James Daunt avesse fatto la cosa giusta?

L’industria costituita ha lanciato una chiamata generale alle armi per l’Amazonmachia, un safari a cui Bloomberg Businessweek ha fornito il poster (vedi la copertina del numero del 20 Gennaio 2012). Può essere un’idea, ma non porta molto lontano, come si è accorto James Daunt, a capo della catena britannica di librerie Waterstone’s. James Daunt non è tenero con Amazon, che ritiene “un competitor molto aggressivo che spinge fuori dal mercato tutti i concorrenti usando pratiche spietate”; eppure, metabolizzato questo dato di fatto, Daunt ha deciso di allearsi con Amazon in quello che l’Economist ha definito “un patto faustiano”. Nelle librerie della catena Waterstone’s i clienti potranno scaricare, con connessione gratuita e una pacca sulla spalla da parte del commesso, ebook dal Kindle Store senza bisogno di farlo per strada. Per tutti gli ebook acquistati tramite wi-fi dai locali delle librerie, Waterstone’s riceverà da Amazon una commissione.
Ma perché l’ha fatto? Per coccolare il lettore che ama gli ebook, ma ama anche andare in libreria, se questa è accogliente e ben organizzata. Ecco cosa dice Daunt: “Gli ebook costituiscono una grande opportunità. Se oltre al libro fisico offriamo altri prodotti in un’atmosfera gradevole, allora sarà il cliente stesso a scegliere di comprare un dispositivo digitale da noi e gli ebook in libreria”. Per questo concetto, che è così semplice ed efficace, si meriterebbe una statua a Trafalgar Square accanto a quella del Commodoro Nelson.
Che quello di James Daunt sia davvero l’approccio corretto e un modello di comportamento per tutta l’industria? Che Amazon, in fondo alla storia, non sia l’asteroide assassino, ma un fattore di cambiamento “amico” per l’industria del libro, così come il Commodoro Perry lo è stato per il Giappone?

Il signor Mac Buck

12 giugno 2012

Metadati, questi guerrafondai

Parliamo di metadati, cioè di tutte quelle informazioni che servono a descrivere un ebook e posizionarlo all'interno delle librerie (titolo, autore, editore, descrizione, prezzo ecc...). Il loro ruolo è fondamentale nel determinare la reperibilità di un titolo e nel facilitare di conseguenza vendite, acquisti e gestione delle librerie.

Oggi Hubert Guillaud si occupa di questo argomento nel suo blog su Le Monde, commentando a sua volta gli appunti di Mike Shatzkin da Book Expo America che contengono una nota in proposito.

A chiosa di questi due articoli, che vi invito a leggere, vorrei aggiungere due riflessioni:
  • I metadati sono una questione di marketing, di conseguenza se il team di lavoro è organizzato per ruoli specializzati è bene che sia l'addetto marketing e non l'ebook developer a occuparsi della fase di submission, cioè dell'invio dell'ebook alle piattaforme di distribuzione. Ed è altrettanto importante la relazione tra questi due ruoli: l'addetto marketing non deve essere all'oscuro riguardo al file content.opf e l'ebook developer deve comprendere l'importanza di inserire i metadati proprio in questo file. La cosa sembra pacifica, ma vi assicuro non lo è: molto spesso accade che sia l'ebook developer a occuparsi della submission e che i metadati divengano uno dei maggiori casus belli all'interno dei team editoriali.

  • La qualità dei metadati non dipende solo dall'editore, ma anche dalla piattaforma di distribuzione.
Faccio degli esempi pratici per spiegare questo secondo punto. iTunes Producer, il programma mediante cui viene effettuata la submission degli ebook all'iBookstore Apple, non prevede l'inserimento di parole chiave. L'iBookstore inoltre non usa i metadata del file "content.opf" per facilitare le ricerche dei libri (in merito potete leggere l'articolo di Liz Castro, qui tradotto in italiano), probabilmente perché questo comporterebbe un rallentamento nell'offrire i risultati di una ricerca. 
A qualcuno sarà venuto in mente di inserire le parole chiavi nella descrizione; ci ho provato anch'io, e il risultato è stato piuttosto deludente: la descrizione è naturalmente molto importante per l'utente, ma non ai fini della reperibilità di un titolo sull'iBookstore. 

Se utilizziamo l'applicazione iTunes per fare i nostri acquisti digitali, noteremo quindi che le applicazioni per iPhone e iPad sono ben indicizzate, gli ebook no. Il form di submission prevede infatti l'inserimento di parole chiave nel caso delle applicazioni e l'intero percorso che porta l'applicazione sullo store è molto più elastico rispetto a quello degli ebook.
Per farla breve, sull'iBookstore Apple la partita dei metadati si gioca tutta su: titolo, nome autore, nome editore, codice BISAC che identifica la categoria tematica entro cui il libro è inserito, e prezzo naturalmente.
Diverso è il caso di Amazon, a cui bisogna dare atto di avere una piattaforma di gestione dei metadati più performante. Mediante Kindle Direct Publishing l'editore può inserire, fra l'altro, fino a un massimo di 7 parole chiave, e l'aggiornamento dei metadati avviene in tempi più brevi.

Qualcuno magari penserà che in fondo la questione dei metadati è secondaria, che è una roba per la quale gli addetti ai lavori si accapigliano inutilmente, che la cosa importante nell'era digitale è la relazione diretta e disintermediata con il lettore. Ok, date un'occhiata alle classifiche sugli store, e poi se ne riparla: l'intermediario che funge da distributore, soprattutto se si chiama Apple, Amazon o Google, non è onnipotente, ma può molte cose. Possiamo starne certi.