Il Gufo Rosa

Il Gufo Rosa
Sui libri digitali e non (e altre diavolerie)

4 febbraio 2012

iBooks Author e i colli di bottiglia dell'ecosistema Apple

Tra le novità made in Cupertino presentate lo scorso 19 gennaio a New York, iBooks Author, il software Apple che consente facilmente all'utente di creare libri di testo interattivi e multimediali, è quello che ha riscosso maggiori entusiasmi e critiche.
Sugli entusiasmi non mi soffermo, sono chiaramente dovuti alla possibilità per molti utenti di realizzare in modo semplice pubblicazioni digitali a supporto della didattica e alla conseguente promessa che questo riduca il prezzo dei libri di testo ampliandone l'offerta. Le critiche invece meritano una più ampia disamina.

Il formato proprietario

I textbooks creati con iBooks Author non sono in formato ePub, lo standard aperto più diffuso per le pubblicazioni digitali, ma nel formato proprietario ibooks, basato su ePub2 con alcune estensioni in HTML5 e JavaScript per poter arricchire il libro di elementi multimediali e maggiore interattività.
iBooks Author consente l'esportazione in PDF, non in ePub.
Se scegli la via del formato proprietario, la devi percorrere fino in fondo: i libri creati con iBooks Author possono essere letti unicamente mediante l'applicazione iBooks di Apple.
Per conoscere più nel dettaglio le specifiche del file .ibooks, vi consiglio di partire dall'analisi del Mennocchio.
Fin qui niente di nuovo sotto il sole. Beninteso, la questione dei formati non è né banale, né oziosa: uno standard aperto e condiviso, costantemente implementato e riconosciuto, e di cui è garantita l'interoperabilità tra software e hardware, è un bene a cui sia come produttori che come fruitori di contenuti digitali non siamo disposti a rinunciare; tuttavia, Amazon ci aveva già abituati a tenere in considerazione la presenza di formati proprietari.

L'accordo di licenza con l'utente finale

Maggiore scandalo ha suscitato invece l'EULA, l'accordo di licenza con l'utente finale, relativo all'uso del software: i libri creati con iBooks Author possono essere venduti solo ed esclusivamente attraverso l'iBookstore, dopo averli sottoposti all'approvazione di Apple.
Tale clausola era già stata giudicata inaccettabile e ridicola da diversi esperti nella sua formulazione iniziale. Apple è riuscita a peggiorarla.
Come riportato ieri da The Digital Reader, la versione iniziale recitava:
If you charge a fee for any book or other work you generate using this software (a “Work”), you may only sell or distribute such Work through Apple (e.g., through the iBookstore) and such distribution will be subject to a separate agreement with Apple.
Quella attuale invece:
If you want to charge a fee for a work that includes files in the .ibooks format generated using iBooks Author, you may only sell or distribute such work through Apple, and such distribution will be subject to a separate agreement with Apple. This restriction does not apply to the content of such works when distributed in a form that does not include files in the .ibooks format.
Semmai a qualche malizioso fosse venuto in mente di utilizzare alcuni file contenuti nel file .ibooks e generati quindi con iBooks Author per creare un libro digitale, magari di contenuto assai simile, in formato ePub e venderlo dove gli pare, beh, Apple ha messo le mani avanti per piantargli qualche grana.

Come ha spiegato bene l'avvocato Evan Brown consultato da Ars Technica, si tratta di una clausola sull'uso del software che limita l'uso dei libri con esso creati:
"The offending language in the iBooks Author EULA is a condition on the use of the software, sort of disguised as a condition on the use of the books that are created," Brown said. "Imagining how this might play out in a dispute reveals the nuance. Say a user makes her iBooks Author created work available for sale through some non-Apple platform. Would Apple sue, claiming that that book is infringing? Of course not—it would lose that lawsuit big time. Instead, Apple would claim that the use of iBooks Author to create that work violated this condition of the EULA, thus was beyond the scope of the EULA, and thus was infringement. Any lawsuit would be for infringement of the software, not of the book."
Il futuro dell'educazione non sta nei libri di testo

Tra le critiche più pungenti e prospettiche, vi è quella di Elena Favilli che nel suo blog su Il Post scrive (riporto alcuni stralci e consiglio di leggere il post per intero):
Se stai cercando nuova musica, giochi, video o altre forme d’intrattenimento che sono guidate principalmente dai gusti individuali, allora il potere della folla funziona sicuramente molto bene. Funziona bene sull’iTunes Store per tutto ciò che riguarda i contenuti pop, per esempio. Non funziona per niente, però, per tutti quei contenuti che si basano su un livello di conoscenza e competenza più alto. Aree come l’educazione e la salute, che sono di estrema importanza per tutta la popolazione ma di cui pochi non tutti hanno conoscenze adeguate, richiedono qualcosa di più della folla per prendere decisioni basate sulla qualità.
E più avanti:
Di strumenti per pubblicare contenuti siamo già pieni. Quello che manca è un modo per capire, in settori cruciali come quello dell’educazione, quali sono quelli di cui fidarsi. La content curation ha già dimostrato di funzionare molto bene nel giornalismo, dove il proliferare di contenuti di ogni tipo ha costretto i giornalisti a trasformarsi prima di tutto in designer, dj delle notizie. Ora è l’educazione il campo in cui più ce n’è bisogno.
Lo scenario è ancora aperto e non è da escludersi che Apple raddrizzi il tiro in corso d'opera, sebbene le ultime mosse relative all'accordo di licenza non sembrino andare in questo senso. È tuttavia possibile prevedere che se Apple vuol fare veramente breccia nel campo dell'educazione e indurre la "rivoluzione" promessa, dovrà aprire il suo sistema a pratiche meno vincolanti e sottoposte a rigido controllo, prima che ci pensi qualcun'altro.

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